Eccomi qui a scrivere il solito cappello introduttivo su
quanto tempo è che non scrivo, sul fatto che dovrei usare il blog più spesso
anche se oramai non va più di moda e che alla fine che lo scrivo a fare se non
mi segue nessuno ma alla fine sono tignoso e facebook non lo uso più anche se
ogni tanto una lurkata gliela do.
Scopo di questo post è metterVi (Chi?) al corrente della
grossa novità in cui mi sono imbarcato e che dal titolo magari avrete
indovinato.
Sono oramai oltre due mesi che mi sono trasferito nella
città lumbard con neanche troppa convinzione se posso essere onesto.
La fredda e comica cronaca narra che, facendo mente locale, tanto
tanto tempo fa (dissolvenza in grigio e sgranato finto vintaggio) ovvero un
anno fa circa venni a sapere per puro caso che la mia ex non solo aveva trovato
lavoro stabile ma era andata a convivere con il suo nuovo ragazzo. La cosa sul
momento mi sorprese, poi mi lasciò vuoto poi alla fine dei 30 minuti in cui
avevo accusato la notizia mi causò nella testa una reazione che usando una
metafora si può dire fossi esploso come il Vesuvio a Pompei. Solo che nella mia
rappresentazione dalla lava eruttata spuntava fuori il Great Mazinger dopo aver
trucidato una cinquantina di mostri meccanici contemporaneamente nel cuore del
vulcano. Insomma come si suol dire ironicamente: “la presi bene”.
In realtà (e non lo dico per fare la figura dello sportivo
son contento per lei anche se una parte di me molto cattiva una piccola
vendetta la vorrebbe; in fondo non sono quella brava persona che tutti pensano
io sia), la cosa che più mi ha fatto arrabbiare, infuriare, letteralmente
esplodere non è il fatto che lei si faccia la sua legittima vita ma il fatto
che non sia stato capace io. Nonostante l’impegno ed i sacrifici non riuscivo a
trovare il lavoro che mi avrebbe permesso di andarmene da casa, di farmi la mia
vita o almeno impostarla e sostanzialmente... sì: di crescere. Nella mia testa
continuavo a dirmi: “In due anni lei ha trovato lavoro e se né andata di casa:
tu nel frattempo che hai fatto?”
Il giorno dopo andai dal mio capo, nonché mio caro amico,
gli spiegai la situazione e gli dissi che i giochi erano finiti: a 40 anni era
pure ora che dessi la zampata vincente per dare una svolta decisa alla mia
vita.
Da quel giorno ho triplicato gli sforzi per cercare un
lavoro stabile, imparare meglio l’inglese (cavolo devo riprenderlo e
ricominciare a studiarlo in proposito) ed a seguire ogni corso on line, leggere
cataloghi ed a impegnarmi nel lavoro. Insomma un deciso cambio di marcia che
anche chi mi stava vicino notò. Ma questo pareva non bastare in quanto per
quanti sforzi facessi oltre un misero primo colloquio non andavo e più passava
il tempo più mi demoralizzavo.
Il cambio ci fu a febbraio con un colloquio in cui una
agenzia interinale cercava un ingegnere con poca esperienza. Feci in tutto tre
colloqui (due presso il cliente) e alla fine venni scartato. Ci rimasi male!
Poi però complice il lavoro che in Italia si sta riprendendo (come la progettazione),
fui richiamato ed iniziò quella che al momento è stata l’esperienza più
appagante come ingegnere junior che ho mai avuto: lavorare con professionisti
gentili e preparati sempre pronti a spiegarti le cose con i colleghi sempre
disponibili mi ha permesso in pochi mesi di crescere professionalmente come non
mi capitava da anni. Fui pure mandato a lavorare presso un loro importante
cliente come consulente. E lì capitò un’altra cosa: Mentre andavo ad un
colloquio uscendo prima dal lavoro, in una calda giornata di luglio (sarebbe
meglio dire arrostente) vidi quella che sembrava a tutti gli effetti la mia ex
dentro una macchina con altre persone. Probabilmente tornava da un pranzo di
lavoro. Ora che sia lei non dico che ci scommetterei (ma quasi) e il succo era
che mi rovinò la giornata perché mi resi conto che ancora ero schiavo di un
fantasma. Un fantasma che non volevo lasciare andare e che continuava a
condizionarmi. Lì capii che a Roma per me non c’era speranza di serenità.
Per quella curiosa cosa per cui quando troppo e quando nulla
in quel periodo mi cercarono da Milano (e Bergamo) e dopo un colloquio prima su
skype e poi di persona mi fecero una buona offerta (meglio dire decente) e capii
che dovevo partire quando trovai un affitto dove potevo andare a quattro soldi.
Compresi che anche il fato, il destino o il culo mi stava dicendo di prendere
quel treno.
Vi risparmio le scene da telenovela napoletana successe
prima della partenza in casa ma vi dico invece l’esultanza degli amici tutti
contenti che mi levassi dai piedi e mi facessi la mia strada.
I primi giorni sono stati molto duri; non tanto per il
vivere da solo che alla fine paradossalmente ci sono abituato quanto per le condizioni
iniziali: casa al piano terreno che dava su un giardino e io che potevo esser
visto da tutti quando uscivo dalla doccia. Un frigorifero uscito dalla piccola
bottega degli orrori e un divano letto che persino i morti di CSI si sarebbero
rifiutati di schiattarci sopra. Tutto questo mi ha stressato parecchio perché
la soluzione sarebbe stata comprare quello che mi serviva ma ancora dovevo
iniziare a lavorare, in quella casa non avrei saputo quanto restare e allora
come risolvere? Questa mancanza di controllo
mi ha causato degli attacchi di nausea, sì nausea. Mi venivano i conati ogni
mattina; conati affievoliti e poi scomparsi mano a mano che sistemavo le cose
(e un caro amico mi supportava) fregandomene di tutto: mi serviva un letto: lo
compravo; mi serviva un elettrodomestico? Via di offerte e si andava a
prenderlo (anzi grazie ai miei amici storici di Milano, senza di loro non ce l’avrei
mai fatta).
Per la questione lavoro mi sono trovato a fare i conti con
la mentalità milanese: le differenze con Roma potrei elencarle con la stranissima
usanza che hanno qui di pagare gli straordinari, con la pratica desueta di
investire sugli impiegati pagando dei corsi per apprendere i software necessari
a lavorare e così via. Tutte cose che difficilmente si trovano nella capitale
dove anzi chi ti spiega per filo e per segno il lavoro è merce rara e che è più
facile che quando chiedi le cose ti riprendano dicendo che non ti applichi.
Mentalità meridionale che però mi ha formato e che mi serve per cercare di
rompere l’anima ai colleghi il meno possibile perché devo dire che sono sempre
strapieni d’impegni e di lavoro eppure 5 minuti per alzarsi e spiegarmi le cose
le trovano sempre.
Dopo questo lungo riassunto la domanda che potreste pormi è:
“si ma come te trovi? Com’è Milano?”
Sul come mi trovo in realtà non lo so manco io, diciamo che
al momento vivacchio cercando di ritagliare degli spazi di serenità e di hobby
dove posso anche se la realtà è che non ho neanche io le idee chiare al
momento. E qui potrei fare una lunga e noiosa diserzione pseudo psicologica/
asciugante/ rompiballe.
Per il resto Milano è come ho capito in fretta la città
delle opportunità; mi è stato detto che “chi
va via da Milan perde il pan”. Perché è qui che girano i soldi; è qui che
in diversi lavori ti chiedono la lingua inglese, almeno, ché sì stiamo in
Italia ma i clienti sono quasi tutti esteri. Sicuramente è una città che per i
viveur è un sogno divenuto realtà: fanno concerti, spettacoli e tanti tanti
eventi. I trasporti funzionano bene e si arriva un po’ dappertutto. Le cose
costano un po’ più care ma complice la presenza di ipermercati che sia per
quantità che per grandezza (a Roma il centro commerciale porta di Roma sembra
poco più di un salone di paese) si trovano offerte veramente convenienti: anche
se devo dire che alcune cose obbiettivamente sono più care ma in fondo sono a
Milano!
Di contro il clima non è granché (i lombardi si offendono se
dico che è abbastanza una merda?): non tanto per la nebbia (pare che quella
vera, quella densa che dura giorni e che si taglia col coltello sia non
pervenuta da anni) ma per il senso di oppressione che mi dà l’aria. Sono tornato
a Roma l’altro giorno e complice anche un delizioso venticello annusavo l’aria
fresca e… me la degustavo dicendomi che mi mancava.
Mi manca come la socialità del romano medio: qui vai al bar
e prendi un caffè (1€) e provi ad attaccare bottone. Non col il gestore cinese
che qui sono tantissimi ma con i pochi italiani rimasti e ti servono, sono
gentili ma non chiacchierano. Ovviamente non è dappertutto così ma altre
persone me lo hanno confermato.
Altra cosa curiosa le persone: il modo di vestirsi: non
meglio o peggio ma diverso. Si vede la differenza di moda, di truccarsi delle
donne o magari lo zaino che va per la maggiore tra gli studenti.
Ci sarebbero altre cose da dire, sul fatto che qui ci sono
tanti tanti stranieri e sono integrati che fa strano vedere delle ragazze
palesemente straniere magari vestite anche con abiti tipici parlare in milanese
(e tra l’altro diverse sono delle fighe assurde).
Devo ancora esplorare diverse cose della città e soprattutto
l’hinterland che ho iniziato a girare ma già sono stato rapito dalla voglia di
scouting inteso come voglia di esplorare. Queste cose le riprenderò in post
successivi che come nei tanti cappelli di chiusura passati, prometto tratterò a
breve (parola di marinaio).
Ultima nota di colore è che tra gli amici romani mi hanno
chiesto se sto già prendendo la cadenza di qui: ebbene più sento parlare
milanese più mi viene da accentuare il romano manco fossi “Er Monnezza”. Questo
non depone bene su cosa penso nel profondo di questi posti nel caso dovessi
trovare un lavoro definitivo ma in fondo anche quando cambiai quartiere a Roma
oltre 20 anni fa tutto il mio essere si ribellò eppure trovai nel bello e guai
a chi me lo tocca.
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