domenica 5 novembre 2017

Day one... anzi: day (oltre il) sessantesimo a Milano



Eccomi qui a scrivere il solito cappello introduttivo su quanto tempo è che non scrivo, sul fatto che dovrei usare il blog più spesso anche se oramai non va più di moda e che alla fine che lo scrivo a fare se non mi segue nessuno ma alla fine sono tignoso e facebook non lo uso più anche se ogni tanto una lurkata gliela do.
Scopo di questo post è metterVi (Chi?) al corrente della grossa novità in cui mi sono imbarcato e che dal titolo magari avrete indovinato.
Sono oramai oltre due mesi che mi sono trasferito nella città lumbard con neanche troppa convinzione se posso essere onesto.
La fredda e comica cronaca narra che, facendo mente locale, tanto tanto tempo fa (dissolvenza in grigio e sgranato finto vintaggio) ovvero un anno fa circa venni a sapere per puro caso che la mia ex non solo aveva trovato lavoro stabile ma era andata a convivere con il suo nuovo ragazzo. La cosa sul momento mi sorprese, poi mi lasciò vuoto poi alla fine dei 30 minuti in cui avevo accusato la notizia mi causò nella testa una reazione che usando una metafora si può dire fossi esploso come il Vesuvio a Pompei. Solo che nella mia rappresentazione dalla lava eruttata spuntava fuori il Great Mazinger dopo aver trucidato una cinquantina di mostri meccanici contemporaneamente nel cuore del vulcano. Insomma come si suol dire ironicamente: “la presi bene”.
In realtà (e non lo dico per fare la figura dello sportivo son contento per lei anche se una parte di me molto cattiva una piccola vendetta la vorrebbe; in fondo non sono quella brava persona che tutti pensano io sia), la cosa che più mi ha fatto arrabbiare, infuriare, letteralmente esplodere non è il fatto che lei si faccia la sua legittima vita ma il fatto che non sia stato capace io. Nonostante l’impegno ed i sacrifici non riuscivo a trovare il lavoro che mi avrebbe permesso di andarmene da casa, di farmi la mia vita o almeno impostarla e sostanzialmente... sì: di crescere. Nella mia testa continuavo a dirmi: “In due anni lei ha trovato lavoro e se né andata di casa: tu nel frattempo che hai fatto?”
Il giorno dopo andai dal mio capo, nonché mio caro amico, gli spiegai la situazione e gli dissi che i giochi erano finiti: a 40 anni era pure ora che dessi la zampata vincente per dare una svolta decisa alla mia vita.
Da quel giorno ho triplicato gli sforzi per cercare un lavoro stabile, imparare meglio l’inglese (cavolo devo riprenderlo e ricominciare a studiarlo in proposito) ed a seguire ogni corso on line, leggere cataloghi ed a impegnarmi nel lavoro. Insomma un deciso cambio di marcia che anche chi mi stava vicino notò. Ma questo pareva non bastare in quanto per quanti sforzi facessi oltre un misero primo colloquio non andavo e più passava il tempo più mi demoralizzavo.
Il cambio ci fu a febbraio con un colloquio in cui una agenzia interinale cercava un ingegnere con poca esperienza. Feci in tutto tre colloqui (due presso il cliente) e alla fine venni scartato. Ci rimasi male! Poi però complice il lavoro che in Italia si sta riprendendo (come la progettazione), fui richiamato ed iniziò quella che al momento è stata l’esperienza più appagante come ingegnere junior che ho mai avuto: lavorare con professionisti gentili e preparati sempre pronti a spiegarti le cose con i colleghi sempre disponibili mi ha permesso in pochi mesi di crescere professionalmente come non mi capitava da anni. Fui pure mandato a lavorare presso un loro importante cliente come consulente. E lì capitò un’altra cosa: Mentre andavo ad un colloquio uscendo prima dal lavoro, in una calda giornata di luglio (sarebbe meglio dire arrostente) vidi quella che sembrava a tutti gli effetti la mia ex dentro una macchina con altre persone. Probabilmente tornava da un pranzo di lavoro. Ora che sia lei non dico che ci scommetterei (ma quasi) e il succo era che mi rovinò la giornata perché mi resi conto che ancora ero schiavo di un fantasma. Un fantasma che non volevo lasciare andare e che continuava a condizionarmi. Lì capii che a Roma per me non c’era speranza di serenità.
Per quella curiosa cosa per cui quando troppo e quando nulla in quel periodo mi cercarono da Milano (e Bergamo) e dopo un colloquio prima su skype e poi di persona mi fecero una buona offerta (meglio dire decente) e capii che dovevo partire quando trovai un affitto dove potevo andare a quattro soldi. Compresi che anche il fato, il destino o il culo mi stava dicendo di prendere quel treno.
Vi risparmio le scene da telenovela napoletana successe prima della partenza in casa ma vi dico invece l’esultanza degli amici tutti contenti che mi levassi dai piedi e mi facessi la mia strada.
I primi giorni sono stati molto duri; non tanto per il vivere da solo che alla fine paradossalmente ci sono abituato quanto per le condizioni iniziali: casa al piano terreno che dava su un giardino e io che potevo esser visto da tutti quando uscivo dalla doccia. Un frigorifero uscito dalla piccola bottega degli orrori e un divano letto che persino i morti di CSI si sarebbero rifiutati di schiattarci sopra. Tutto questo mi ha stressato parecchio perché la soluzione sarebbe stata comprare quello che mi serviva ma ancora dovevo iniziare a lavorare, in quella casa non avrei saputo quanto restare e allora come risolvere? Questa mancanza di controllo mi ha causato degli attacchi di nausea, sì nausea. Mi venivano i conati ogni mattina; conati affievoliti e poi scomparsi mano a mano che sistemavo le cose (e un caro amico mi supportava) fregandomene di tutto: mi serviva un letto: lo compravo; mi serviva un elettrodomestico? Via di offerte e si andava a prenderlo (anzi grazie ai miei amici storici di Milano, senza di loro non ce l’avrei mai fatta).
Per la questione lavoro mi sono trovato a fare i conti con la mentalità milanese: le differenze con Roma potrei elencarle con la stranissima usanza che hanno qui di pagare gli straordinari, con la pratica desueta di investire sugli impiegati pagando dei corsi per apprendere i software necessari a lavorare e così via. Tutte cose che difficilmente si trovano nella capitale dove anzi chi ti spiega per filo e per segno il lavoro è merce rara e che è più facile che quando chiedi le cose ti riprendano dicendo che non ti applichi. Mentalità meridionale che però mi ha formato e che mi serve per cercare di rompere l’anima ai colleghi il meno possibile perché devo dire che sono sempre strapieni d’impegni e di lavoro eppure 5 minuti per alzarsi e spiegarmi le cose le trovano sempre.
Dopo questo lungo riassunto la domanda che potreste pormi è: “si ma come te trovi? Com’è Milano?”
Sul come mi trovo in realtà non lo so manco io, diciamo che al momento vivacchio cercando di ritagliare degli spazi di serenità e di hobby dove posso anche se la realtà è che non ho neanche io le idee chiare al momento. E qui potrei fare una lunga e noiosa diserzione pseudo psicologica/ asciugante/ rompiballe.
Per il resto Milano è come ho capito in fretta la città delle opportunità; mi è stato detto che “chi va via da Milan perde il pan”. Perché è qui che girano i soldi; è qui che in diversi lavori ti chiedono la lingua inglese, almeno, ché sì stiamo in Italia ma i clienti sono quasi tutti esteri. Sicuramente è una città che per i viveur è un sogno divenuto realtà: fanno concerti, spettacoli e tanti tanti eventi. I trasporti funzionano bene e si arriva un po’ dappertutto. Le cose costano un po’ più care ma complice la presenza di ipermercati che sia per quantità che per grandezza (a Roma il centro commerciale porta di Roma sembra poco più di un salone di paese) si trovano offerte veramente convenienti: anche se devo dire che alcune cose obbiettivamente sono più care ma in fondo sono a Milano!
Di contro il clima non è granché (i lombardi si offendono se dico che è abbastanza una merda?): non tanto per la nebbia (pare che quella vera, quella densa che dura giorni e che si taglia col coltello sia non pervenuta da anni) ma per il senso di oppressione che mi dà l’aria. Sono tornato a Roma l’altro giorno e complice anche un delizioso venticello annusavo l’aria fresca e… me la degustavo dicendomi che mi mancava.
Mi manca come la socialità del romano medio: qui vai al bar e prendi un caffè (1€) e provi ad attaccare bottone. Non col il gestore cinese che qui sono tantissimi ma con i pochi italiani rimasti e ti servono, sono gentili ma non chiacchierano. Ovviamente non è dappertutto così ma altre persone me lo hanno confermato.
Altra cosa curiosa le persone: il modo di vestirsi: non meglio o peggio ma diverso. Si vede la differenza di moda, di truccarsi delle donne o magari lo zaino che va per la maggiore tra gli studenti.
Ci sarebbero altre cose da dire, sul fatto che qui ci sono tanti tanti stranieri e sono integrati che fa strano vedere delle ragazze palesemente straniere magari vestite anche con abiti tipici parlare in milanese (e tra l’altro diverse sono delle fighe assurde).
Devo ancora esplorare diverse cose della città e soprattutto l’hinterland che ho iniziato a girare ma già sono stato rapito dalla voglia di scouting inteso come voglia di esplorare. Queste cose le riprenderò in post successivi che come nei tanti cappelli di chiusura passati, prometto tratterò a breve (parola di marinaio).
Ultima nota di colore è che tra gli amici romani mi hanno chiesto se sto già prendendo la cadenza di qui: ebbene più sento parlare milanese più mi viene da accentuare il romano manco fossi “Er Monnezza”. Questo non depone bene su cosa penso nel profondo di questi posti nel caso dovessi trovare un lavoro definitivo ma in fondo anche quando cambiai quartiere a Roma oltre 20 anni fa tutto il mio essere si ribellò eppure trovai nel bello e guai a chi me lo tocca.

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